E’ la storia colossale – credo per l’intendimento segreto tra gli individui cui sottende – di un uomo, Marie Jeorges Picquart, (interpretato da Jean Dujardin), disposto a sapersi ricredere circa gli appellativi o le condanne inferte ingiustamente, con e per i suoi, ad un altro uomo,Alfred Dreyfus (Louis Garrel).
Si sa, la calunnia serpeggia di bisbiglio in bisbiglio e uccide come il fucile, con tanto di apparato accusatorio intessuto di presunti crimini, i quali, sotto una lente di ingrandimento – ma non è mai il caso di utilizzarla per nessuno – mostrerebbero la loro reale manifattura.
Questa è una storia vera di discriminazione, come ce ne sono miliardi, ma divenne un caso in Francia poiché folle e disperato fu il tentativo del singolo, sia pur nobile e appartenente alle alte cariche dell’esercito, di accusare l’insieme precostituito a cui aveva prestato giuramento.
Per poter delineare i confini sottili della brutalità del preconcetto dalle ordite macchinazioni istituite da molti con la volontà di fare fuori qualcuno, mossi da un sentimento aleatorio di invidia per la categoria di cui l’accusato veste il paradigma umano e/o sociale, Polanski si é avvalso di un impianto narrativo classico.
Probabilmente gli è interessato raccontare “come” e “perché”, ad un certo punto, un uomo di nome Jeorges Picquart abbia voluto mettersi al pari con la filosofia idilliaca dell’organo che rappresentava, l’esercito, fino ad arrivare a sfidarlo.
L’incipit del film è una pubblica umiliazione assertiva, tradotta in condanna, si svolge a Parigi.
Seguito da una moltitudine di persone, (che la regia di Polanski lascia intendere siano da identificare con il termine folla), Georges Picquart, partecipante all’evento, codifica nei pensieri l’ alta voce del collega che, acclamandolo in una sentenza, accusa di presunto tradimento ai danni dello stato francese Alfred Dreyfus, un ebreo imputato di spionaggio e favoritismo tedesco.
Poco tempo dopo Picquart sale di grado.
A causa di un cavillo e di un filo di ragionamento ipotetico e induttivo che segue immerso nel suo nuovo ruolo di controspionaggio con la coscienza grondante di stupore, Picquart percepisce la verosimiglianza del mondo ipocrita dell’esercito, con cui si è compromesso per scelta d’adesione.
Forse il film vuole farci riflettere sul fatto che obbedire ad un criterio fatalista d’appartenenza ad una categoria sociale è quanto di più ilare e grottesco ci sia al mondo, ma anche un fatto quasi imprescindibile per disegnare un’identità se si vuole “prestigiosa”, che venga accettata con riguardo dal contesto a cui ci si lega. L’ambizione di tracciare un proprio profilo impeccabile non fa sconti.
D’altronde, il protagonista di questa storia entra in crisi con se stesso per aver assecondato e creduto ciecamente ai membri della propria uniforme fino a raccontarsi menzogne. La reazione di costui si sviluppa in una rivoluzione radicale, che però è appena possibile tenere in vita. Piquart è al limite del consentito, portarla avanti spinge all’estremo la sua umana resistenza.
Probabilmente questo del nuovo film di Polanski è un protagonista sentenzioso, rischia tutto per avere la facoltà di difendere un grande senso di giustizia, che, in definitiva, ha interiorizzato e idolatrato in solitudine, a dispetto dell’ordine o della “comitiva” a cui ha deciso di aderire, o meglio, di appartenere.
Dall’altra parte del protagonismo della storia reazionaria dell’umanità eroica c’è un sofferente: Dreyfus, impassibile; in quanto ebreo viene schiacciato dalle condanne che risuonano nella sua memoria mentre prova a vivacizzare l’isolamento in cui è caduto per forze maggiori. Visibilmente provato, egli sopravvive,tenace, alla ricerca umana della dignità e del rispetto a tutti i costi, pur nell’oblio.
Certe sofferenze si possono appena immaginare.
Per entrambi questi uomini definiti dalla penna di Polanski la libertà è un concetto che si sposa con il desiderio dell’onore. In questo senso vorrei suggerire la commovente apparizione del grande scrittore Emile Zola ad un certo punto della storia,che non svelerò,il quale è determinante a decifrare stilisticamente questo nuovo film di un autore di cinema oserei dire geniale, sicuramente tra i miei preferiti.
Ma se un uomo mette in discussione tutto ciò che è e tutto ciò a cui appartiene, se rischia la vita per un altro,questo non significa che rimetterà a giudizio fino in fondo le sue impressioni personali sull’altro! E’ pur vero che le alte cariche dello stato francese hanno condannato Dreyfus ingiustamente, sì, per trasporto politico della loro fazione sociale, ma l’antipatia avvertita da Picquart e dagli altri è anche accaduta a causa della genesi del sentimento di antisemitismo diffuso, che ormai stava per germogliare in tutta Europa.
Le intolleranze e, più propriamente, la diversificazione tra gli individui- intesa come concetto intellettuale-sono aumentate con il regno del capitalismo.
Piquart e Dreyfus non diventeranno mai intimi, la forza del finale del film è nel loro incontro a posteriori.
Quando si ha a che fare con la discriminazione e non si eleva la vittima a stato di eroe come conseguenza del martirio da lei subito, la guerra alle alte cariche rappresentanti dello stato è più un fatto di riscatto personale o di un gruppo di fanatici, almeno le mie riflessioni sono state queste e sono di ampissimo respiro, colgono alle spalle alcuni fatti di cronaca dei nostri giorni e anche alcuni miei avvenimenti personali.
Ma Piquart si è accomodato alla sua rivoluzione inverosimile, e l’affare Dreyfus è passato alla storia.
C’è da chiedersi se il protagonista del film resti eroico fino alla fine, nella sua incorruttibilità raggiunta, o se si deve a qualcos’altro la sua rigidità nei confronti della gratitudine di Dreyfus, che pure lo lusinga
Tra l’altro ho visto il film a Venezia e adesso mi capita di ripensarci senza averne avuto una seconda visione. Polanski è nello spirito dei tempi, la sua geometria narrativa è fatata.
Ma andrò a guardarlo nuovamente in sala.
A proposito di fedeltà agli ideali, cosa dire circa la scrittura del film?
Come da manuale, che la sceneggiatura segue pedissequamente, il Picquart rappresentato sullo schermo denuncia lo stato, crede che nessuno supporterebbe le accuse che sta muovendo,(e noi siamo con lui), ma esse poi diventano la sua abitudine quotidiana ed egli comincia ad avere il potere e il coraggio di rischiare moltissimo.
Noi allora diventiamo degli spettatori passivi, animati da questo show condotto sapientemente dall’autore, forse.
Tutto ciò che è una scrittura classica trasforma le azioni dei personaggi da una forma attiva ad una passiva e capovolge il processo per gli spettatori.
Tanti si prendono il merito di riuscire a farlo ma pochi conseguono questo risultato in maniera esemplare.
Tra l’altro gli attori sono eccezionali, Jean Dujardin è bravissimo, il suo sguardo scrutatore e disinteressato è allo stesso tempo un enigma da decifrare e una convenzione che conforta lo spettatore. In più l’intero film è calato in una scenografia pazzesca,anzi tutti i reparti artistici della realizzazione del film sono ben armonizzati, questo lavoro ricorda meccaniche divine.
Tuttavia liberarsi dall’animale che è in noi non è umano, e non è nemmeno tipico dei personaggi di Polanski.
Siamo uomini o dei? Siamo in guerra o siamo in pace? Questo status quo finirà mai? Se è retorica è fatta bene.
J’Accuse, il film perfetto, dicono.
Quanto dobbiamo soffrire? Come sarà il nostro personale balsamo dell’anima, cioè l’ironia profusa nel racconto delle nostre ragioni in un tribunale, sarà di qualità la nostra performance in pubblico?
Qualcuno controlli l’incidenza delle nostre battaglie. Forse non arriveremo mai in tribunale.
Di certo il dolore che con la calunnia quotidiana potremmo aver causato a qualcuno è un’altra storia in cui immedesimarsi, e non è quella raccontata qui da Polanski,(che pure la svela), ma al regista interessa mettere in luce il seme della discordia nelle sue prime fasi di sviluppo, la radice della classe sociale che permette poi ai rami dello stato di considerarsi come una categoria “elitaria”.
E’,forse, nell’intervallo che intercorre nel parallelismo istituito tra questi due personaggi,(Picquart e Dreyfus, che si salvano l’esistenza a vicenda- ma che non si incontreranno mai fino in fondo- uniti nel rispetto della legge, almeno nella sua accezione più profonda), che avviene una trasformazione, e cambia ciò che dovrebbe garantire il rispetto tra i cittadini. Ne consegue che il sistema si nutre dell’odio avvertito verso chi non ha fantasie di sudditanza, poiché nessun gioco può essere condotto veramente ad armi pari e l’uomo desidera profondamente la collisione sociale.
Siamo uomini o dei? E che ne so?
Dal film traggo che, ma è possibile e giusto trarre? Da questo film voglio trarre che:
Siamo uomini o dei? Moralisti, comunque sia.
Magari soffriamo di antipatie e simpatie come tutti, ma viverlo come un fatto privato, cercando di mettersi in discussione, senza assecondare le mire espansionistiche e la gravità d’intervento di chi deve avere sempre un nemico per nascondere e seppellire la propria crudeltà, questo farebbe la differenza! Soprattutto in una società che ormai sappiamo essere molto malata in ogni quando.
Si deve comunque intervenire contro la discriminazione, il razzismo, bisogna operare delle scelte per definire la propria faccia!
Vergognarsi per se stessi e per il proprio insieme d’appartenenza, salvare l’esistenza a chi ne ha diritto, in quanto capro espiatorio delle manipolazioni di chi sta più alto e mette in atto perversioni vincolanti, questo diventa un motivo per essere identificati non come un numero nel mondo.
L’identità è un fatto nobile, filosofico fino ad un certo punto, nel senso che il proprio titolo personale si raggiunge troppo tardi per tutti; è come il buon vino invecchiato, ed il tempo perso nei meandri dell’esperienza è avvertito come una mancanza, altrimenti la poesia non esisterebbe.
E non ci si afferma senza la lotta con se stessi – questo concetto è importante nel film – avviene quasi una parziale separazione dall’incanto, in cui Piquart determina se continuare a farsi scegliere per stare al mondo da uomini che vengono anch’essi sia premiati che derisi, oppure se scegliere in prima persona chi e come essere e dove stare.
Identità e lotta contro la discriminazione, che tema meraviglioso da scegliere in generale per un film!
Si ha per forza a che fare con l’abnegazione del precostituito, almeno negli spazi di tempo più importanti della messa in discussione del se. Ma il lavoro di Polanski va oltre tutto questo e si fa incalzante: l’autore è sulla cresta dell’onda del nostri giorni violenti, denuda le origini del sentimento d’odio per eccellenza del secolo scorso: l’antisemitismo. Lo fa in una nazione che è stata sempre considerata non centrale per quanto riguarda gli sviluppi del fanatismo totalitario, in uno stato che negli anni prima aveva ospitato la più grande rivoluzione sociale d’Europa, un posto in cui si era combattuto lo snobismo delle classi più alte.
Nessuna guerra non alimenta le forze nemiche.
Altra questione: Lo spionaggio,sul web o altrove, non è un esercizio che se si pratica può essere trattato con superficialità, ed è pericoloso in quanto tutto viene manipolato quotidianamente, dagli autori dei fatti e non.
Se c’è un seme che molti piantano nel terreno delle proprie emozioni per far germogliare il razzismo, questo è la calunnia improvvisa per qualcuno che deve essere espiato perché invidiato, in un certo senso.
Invidiato per cosa?
Le cause dell’odio profondissimo per l’altro sono generate dall’inefficienza, dalla rigidità e dal senso di inadeguatezza di chi, comunque sia, sta al potere e vuol salire gli scalini della gloria senza rinunciarvi, prendendosi la responsabilità di soffocare gli “estranei”, i dissidenti, i diversi, gli ingenui. Questo è chiaro nel film, è una realtà chiara a quasi tutti, vero?
È ridicolo affermare che i gruppi o gli ordini consolidati da una qualche ideologia siano legati da amicizia e forte senso del rispetto reciproco, io ormai ci credo poco, che altro dirvi di più importante.
Rassegnazione, sofferenza, passione, rivalsa, ribaltamento delle proprie convinzioni.
J’accuse di Roman Polanski è finalmente al cinema, Andate a vederlo.
Anna Moretti






