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“La globalizzazione, anche nel settore criminale – spiega – ha erroneamente portato a pensare al concetto di lontananza, internazionalità, dimenticando la radice territoriale e familiare della mafia, come se fosse un retaggio d’altri tempi. Invece, se si vanno a leggere le cronache, i nomi che troviamo sono sempre quelli legati a certe famiglie mafiose. Ricordiamo che l’appartenenza a cosa nostra è derivazione di un’affiliazione familiare, che va interrotta. Sono sempre più convinta – afferma ancora Tirrito – che l’ergastolo debba essere ostativo per appartenenti a Cosa Nostra, e che bisogna ricominciare a seguire le discendenze, figli e nipoti, sapere cosa fanno, dove vanno, in cosa sono coinvolti.
A meno che questi, non si pentano e seguano pubblicamente un percorso di disconoscimento dei disvalori della famiglia, si dissocino dalle malefatte perpetrate negli anni. Un atto forte, che solo chi ha davvero volontà di girare pagina può compiere.
Voglio lanciare un appello ai magistrati: non smettiamo di pensare a cosa nostra come una struttura che si muove con logiche territoriale e appartenenze familiari servirebbe solo a consentire che lavorino sotto traccia, per poi ritrovarseli davanti agli occhi, magari armati, contro lo Stato. Falcone giustamente diceva di seguire i soldi per arrivare ai capi, aggiungo di seguire la stirpe per fotografare l’intera organizzazione criminale”, conclude Tirrito.






