La poesia che salva con l’amore. Ce lo ricorda Davide Cataldo con il suo primo libro, ”Vicin’o mare”

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“Vicin’o mare”, presentato al Bistrò del Teatro Massimo dagli scrittori Gino Pantaleone e Francesco Scrima.

Non una semplice raccolta di poesie, ma un viaggio nelle emozioni, che l’autore si augura arrivino al lettore lente e dirette, come gocce di sangue che simboleggiano la linfa vitale della nostra esistenza.

Vicin’o mare” è il titolo del primo libro di Davide Cataldo, giovane palermitano, curioso e attento osservatore del mondo, approdato con questo lavoro alla poesia. La sua presentazione è avvenuta al Bistrò del Teatro Massimo, con a fianco due scrittori d’eccezione come Francesco Scrima e Gino Pantaleone, entrambi con un curriculum di tutto rispetto che lascia ben poco all’immaginazione rispetto alla loro capacità di fare in un certo senso da mentori a un giovane come lui.

«Basterebbe guardarsi intorno, vedere i segni della nostra epoca con le sue crisi economiche e sociali, comprese le guerre – esordisce così Scrima – per capire che poesia e bellezza sono finite ormai da 50 anni e che il disastro a cui rischiamo di andare incontro è legato a questo abbandono totale del senso poetico. Alla luce di ciò, presentare oggi una raccolta di poesie è di per sé un evento irreale, ai limiti della fantascienza, oserei dire quasi una seduta spiritica. Stiamo cercando di fare vivere qualcosa che inevitabilmente viene considerato morto, qualcosa che tanti vorrebbero morto. Quando esordii io, Dario Bellezza nella sua introduzione disse: ”Presentare un esordiente fa tremare i polsi”. Credo non lo dicesse solo per metafora perché è un po’ come scoprire a poco a poco chi fino a un certo momento è celato dal velo del privato, denudandolo.  Ovviamente è anche vero che, se uno scrittore decide di pubblicare ciò che ha scritto, sa bene che la proprietà dell’opera diventa patrimonio di chi lo ascolta, del suo pubblico».

Quando si pensa alla poesia il pensiero va sempre all’amore: a quello cantato e decantato da grandi penne come quelle di Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Shakespeare, solo per fare alcuni dei più fulgidi esempi. Le loro liriche trasudano passione, amore, primo e ultimo argomento di tutta la poesia.

«Non è pensabile che nelle grandi opere d’arte non si esprima l’amore – aggiunge Pantaleone -. Penso ad Alcesti, a Edipo, Prometeo, Ettore, Andromaca, Achille, come anche a Re Lear, Macbeth, Amleto o Romeo e Giulietta. Chi ha cultura letteraria cosa fa nella vita se non indagare l’amore, non perdendo tempo in chiacchiere? Davide Cataldo tutto questo lo ha capito. Lo scrive anche nella sua introduzione, che il perdere tempo ha reso lo stesso tempo arido. Davide ha capito che conviene spendersi per ciò che uno ama e non per ciò che non si ama. Esiste una testimonianza comune a tanti poeti di quel sentimento d’improvvisa possessione non giustificata che dalle regioni del silenzio conduce alla luce della parola, manifestandosi come ragionevole necessità del dire.  Quando un poeta sente di dover scrivere, lascia tutto e tutti e scrive, se è in macchina si ferma e scrive, se sta per addormentarsi si sveglia e scrive, se sta mangiando lascia tutto e scrive. Mette da parte ogni cosa. E scrive».

L’incontro e la fusione con l’altro, abbandonandosi a quest’ultimo per diventare un tutt’uno e ritrovare allo stesso tempo se stessi. Una dimensione abitata sia dalla singolarità sia dalla pluralità, quella che vive e ci trasmette Davide Cataldo attraverso il suo libro, raccontandoci il suo amore per la vita, che passa anche dalla fotografia, un’altra delle sue grandi passioni. Liriche, le sue, infatti, che si presentano come immagini nitide, capaci di regalarci continue emozioni piene di trasporto per l’incontro con la bellezza della donna, colorate con pennellate di natura, profumate dalla profondità della notte.

«Non ci sono dubbi, Davide Cataldo è un poeta – sottolinea Gino Pantaleone, attingendo all’intera tavolozza di colori dell’arcobaleno -.  In questo volume dimostra di avere un’innata creatività, un istinto spontaneo e, quindi, una grande originalità, un’indiscussa capacità immaginativa. A volte è anche bizzarro, se pensiamo a quella bellissima foto di copertina che giustifica il titolo “Vicin’o mare”, tratto da “O Marinariello”, canzonecomposta nel 1893 da Salvatore Gambardella nella bottega del fabbro De Chiara, grande appassionato di musica, che aveva trasmesso al giovane Salvatore oltre ai rudimenti per la lavorazione dei metalli anche l’amore per la musica, in particolare per il mandolino. Davide Cataldo mi dà anche lo spunto per dire che, volendo parlare di poesia, facciamo prima a dire che cosa non è la poesia.  La poesia non è la descrizione del reale e del qui e ora. Non è una serie di pensieri giunti a galla in maniera disordinata, scomposta e trascritta nell’immediato. La poesia non è un insieme di pensieri e parole che “mi sembrano belli, quindi li scrivo e do loro una forma”. La poesia è qualcosa di complesso, è un procedimento umano. Lo diceva già Platone».

La poesia resta, però, espressione dei propri sentimenti, delizia e tormento dell’anima. È sempre un’operazione di estrema delicatezza, dovendoscoprire l’intimità di chi scrive per arrivare a chi legge.

«Sono entrato in questa raccolta in punta di piedi e con molta discrezione – ci descrive il suo approccio con il mondo dell’autore Francesco  Scrima– cercando di capire più che l’aspetto tecnico delle poesia l’atmosfera, le suggestioni che mi potevano arrivare. Il tutto con l’animo sgombro da quelle sovrastrutture che solitamente ci ostacolano. Parto dal titolo, che ha colpito me come Gino. “O Marinariello” è il titolo della canzone che cantava mio padre facendosi la barba al mattino. Senza saperlo, Davide mi ha proustianamente riportato a lui. Questo titolo è l’atmosfera, la suggestione che stavo cercando. Una metafora. È Napoli come colore, come musica, come sentimento. Musica, colore, sentimento. C’è un campo semantico che accoglie parole come fiori, sole, luna, occhi, sorriso, soprattutto notte che ho contato almeno una ventina di volte nel libro. Davide vive l’amore per le cose semplici; semplici non simbolicamente, ma in senso realistico. C’è la realtà che rimanda a una coscienza poetica che fa uso delle parole perché vuole descrivere. Parole che si trasformano e diventano poesia».

Cataldo in questa sua raccolta di poesie dimostra di possedere veramente, come dice Pantaleone, la “rara capacità di trasmutare le esperienze in canto, in verso, in parola, portando con sé, come fa il vento, foglie, polvere e lacrime”.  È anche vero che, lo sottolinea Scrima, “ogni storia è una storia d’amore. Anche una raccolta di poesie può raccontare una storia e, quando lo fa, ha la potenza di mille romanzi. La poesia è, del resto, la forma più ingenua di comunicazione. La più pura”.

Comunicazione che passa sempre e solo attraverso il filo rosso dell’amore.

«Io vivo con e per le mie emozioni – spiega l’autore -. Tengo a precisare che non sono un tecnico, non mi rifaccio a nessuno. Seguo solamente ciò che sento. Sono molto istintivo. Questo è un libro che si divide in due parti: la prima appartiene a un Davide più giovane, continuamente innamorato, ingenuo; la seconda parte è quella della maturità, nella quale sono un po’ meno ingenuo e ho sicuramente maggiore coscienza di me stesso. Un Davide che ha uscito dal cassetto tutto quello che aveva scritto già a 18 anni e che aveva messo da parte per dedicarsi ad altro. Un giorno, però, ho deciso di stare bene e di prendere in mano la mia vita.  È stato un lampo ed eccomi qui insieme a voi. Ciò che mi ha spiazzato ed emozionato è stato che, non conoscendomi se non attraverso quello che ho scritto, mi avete descritto per come sono. Mentre ascoltavo Gino Pantaleone leggere le mie poesie, mi sono chiesto: “Ma le ho veramente scritte io?”. Ho rivissuto le emozioni di quei momenti, ritrovandomi al mare, in terrazza, nei luoghi che mi hanno ispirato. E ho sentito i brividi. Grazie di cuore».

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